LO STORICO EMILIO GENTILE INCONTRA GLI STUDENTI DI ALCUNE SCUOLE DI SENIGALLIA
Se ripensiamo al massacro della Shoah –ma in generale a tutti i massacri che ci portiamo sulla coscienza- non possiamo non immaginare l’uomo come un’impeccabile macchina dispensatrice di odio. In realtà, l’essere umano può distribuire anche amore, il sentimento più irrazionale e spontaneo per eccellenza. Ma sì, può farsi portavoce anche di un odio feroce, sentimento programmabile e spesso razionale, per mettere a punto la sua efficacia distruttiva nei confronti del nemico.
E’ la riflessione con cui ha esordito nella mattinata di sabato Emilio Gentile, tra i più illustri esperti di storia contemporanea del nostro paese, presso il Teatro La Fenice di Senigallia, davanti ad una folta platea di studenti dei licei Medi e Perticari e dell’istituto tecnico Corinaldesi, in occasione dell’evento intitolato La rivoluzione antropologica del fascismo, razzismo e antisemitismo.
Nulla di paragonabile all’orrore nazista si è mai verificato nella storia dell’uomo: un insulso e razionale –razionalissimo- progetto di odio, germogliato per di più nel centro dell’Europa illuminista. <<Il concetto di razza ha basi scientifiche, ma gli studi portati avanti non hanno certamente inclinazioni antisemitiche. Essi vennero solamente travisati dalle figure che ben conosciamo: Adolf Hitler e Benito Mussolini>> -ha spiegato Gentile. Nell’Ottocento, -che aveva risentito dell’influsso illuminista del secolo precedente- la teoria dell’evoluzione di Darwin constata infatti l’esistenza di innumerevoli specie viventi in lotta per la sopravvivenza. Solo una, per una speciale adattabilità a clima e ambiente, è stata però in grado di sopravvivere: la razza umana. Quella che prende però corpo nel Novecento è l’idea di un’identità dovuta alla composizione del sangue, portata avanti dall’erronea convinzione che la scienza giustifichi una gerarchia tra le razze, e che quella umana possa essere suddivisa in sottocategorie: l’uomo bianco, l’uomo nero, l’uomo giallo, l’uomo rosso. E’ il primo, quello europeo, che aveva dominato fino ad allora l’85% delle terre emerse, che risponde al modello estetico neoclassico: fisici scolpiti come la statuaria greca, culmine dell’armonia e della perfezione indissolubilmente legata alla bellezza interiore (kalòs kai agathòs), capelli biondi e occhi azzurri. <<L’antisemitismo politico si manifestò come una religiosità pagana a cui gli stati, poco a poco, si convertirono>> – ha continuato lo storico. Non possiamo non portare a questo proposito l’esempio dell’Italia.
Nonostante l’antigiudaismo cattolico (gli ebrei, per la Chiesa, avevano ucciso Cristo) e benché diffusa l’opinione popolare del giudeo usuraio, nei primi decenni del Novecento non sono presenti forme di odio sistematico o il pensiero che dopo secoli di diaspora la componente ebrea italiana debba cercare una patria altrove. D’altronde, gli stessi ebrei erano stati protagonisti del nostro Risorgimento (Ernesto Nathan, Sidney Sonnino sono solamente due dei loro nomi), e lo Statuto Albertino del 1848 aveva eliminato ogni forma di discriminazione possibile.
Allora perché l’Italia si fece coinvolgere nel massacro? Dobbiamo a questo punto parlare di compartecipazione: Mussolini era stato certamente condizionato dall’alleanza con la Germania, ma aveva stilato le legislazioni antisemite in maniera autografa e cosciente, nonostante nella sua vita avesse avuto diverse amanti ebree, tra cui l’attivista e politica russa Angelica Balabanoff e la storica dell’arte Margherita Sarfatti, che gli inculcò il culto della romanità. Negli Anni Venti Mussolini si fa <<seminatore>> di una nuova razza, padre di tutte le infanzie, il <<capo deciso>> di un’Italia forte, mitica, imperiale, proprio come la Roma di Augusto. Nel 1926 dichiara di voler operare una trasformazione del carattere interiore degli italiani, correggerli da <<qualcuno dei loro difetti tradizionali>>, ossia dalle manchevolezze impresse nel loro animo corrotto dalle vicissitudini del loro passato e della loro storia, fatta, dalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente in poi, di servilità e di dominio straniero. Molto prima della degenerazione del fascismo è quindi già radicata l’idea di una <<rigenerazione>>, della creazione di una razza nuova di guerrieri dominatori, dove vengono meno le attitudini personali per lasciare spazio a un modello da seguire: quello del cittadino-soldato imbottito dal culto della guerra. Anche le donne diventano <<donne-coloniali>> che devono assimilare lo spirito guerriero da trasmettere ai propri figli (i quali non faranno in tempo neppure a nascere che già saranno tesserati al partito fascista).
Fino ad allora l’Italia aveva conquistato l’Eritrea, parte della Somalia e poi la Libia, ma il <<meticciato>> non era mai stato un problema (anzi, più che la componente erotica delle relazioni, veniva sottolineata quella sentimentale). Neanche con Faccetta Nera, brano composto in occasione dell’invasione dell’Abissinia (Etiopia) ed erroneamente considerato l’inno degli orrori fascisti, il nostro Paese aveva avuto intenzioni di dominio spietato e incontrollato. La diffusione dell’odio razziale fu quindi un processo graduale che andò manifestandosi attraverso un atteggiamento di diffidenza: tra la razza conquistatrice e quella conquistata bisognava mantenere una rigorosa separazione. Iniziano ad apparire i primi squallidi simbolismi razzisti nelle cartoline coloniali: soldati che comprano schiave nere per appagare appetiti sessuali o intere popolazioni soffocate con l’impiego di gas chimici. E’ il volto più <<animalizzato>> del razzismo novecentesco, rafforzato, nel cuore dell’Europa, in Germania, dalla potenza dei discorsi di Adolf Hitler: gli ebrei, il grande nemico dell’umanità, dipinti come insetti nocivi, ragni velenosi, corruttori di donne caste, che avevano però contribuito allo sviluppo della cultura tedesca (tra cui lo scrittore ebreo Heinrich Heine). Di riflesso, il nemico viene ufficializzato anche in Italia: ne Il Manifesto della razza, pubblicato nel luglio 1938, il punto 9 recita: <<Gli ebrei non appartengono alla razza italiana>>. Nelle scuole migliaia di cattedre e di banchi rimangono improvvisamente vuoti: professori e studenti spariscono per scappare da quelle immagini e caricature intrise di odio immeritato.
<<Se fossimo ciechi e sordi non percepiremmo le caratteristiche fisiche che ci differenziano per trasformarle in distinzioni qualitative di fondo>> -ha proseguito Gentile- <<Se tu non conosci il razzismo, ma vedi queste immagini, dove c’è la perfezione europea con il suo armonioso profilo greco-romano, e poi accanto l’ebreo e poi ancora lo stereotipo del nero assimilato ad una scimmia, tutto cambia. Le immagini sono pericolose perché il razzismo nasce attraverso le immagini.>>
Ma non fu una perversione solamente tedesca e italiana. Anche la Francia –la stessa società libera e repubblicana che aveva redatto la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino nel 1789 come eccelso punto fermo nel corso del ventennio rivoluzionario- era abbagliata dallo stereotipo dell’ebreo deformato che non ha patria né nazione, quindi pronto a tradire senza scrupoli pur di avere un proprio <<habitat>> (l’unica colpa di Alfred Dreyfus, militare francese condannato per presunto tradimento, era quella di essere ebreo).
Ma di questi peccati si macchiò anche il comunismo (che potrebbe gareggiare senza timori con il nazismo per il numero di vittime causate, ndr): Marx utilizzava la parola ebreo come insulto e le persecuzioni antisemite in Russia erano iniziate già dal 1905. Ma tutte queste distinzioni tra destra, sinistra, nazismo, fascismo e comunismo sono forse superflue: ogni corrente di pensiero politico, ogni partito, uno ad uno, sembrò unirsi ad un altro in un gomitolo inestricabile per cadere nella logica delle leghe antisemite.
<<I regimi totalitari abituano il popolo all’indifferenza>> -ha concluso Gentile- <<Il passato quello che poteva fare di male lo ha già fatto. Il presente lo viviamo e il futuro non lo conosciamo. Ma per cambiare la storia dovremmo rinnovare una speranza: l’uomo non è geneticamente portato solo all’odio, ma anche all’amore.>>
Alexandra Bastari, 5ALi
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